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Abbiamo chiesto a Franco Vaccari, Fondatore e
Presidente di Rondine Cittadella della Pace di
aiutarci a leggere i conflitti, da quelli quotidiani
a quelli che si combattono sullo scacchiere
internazionale.
Il presidente Vaccari ci ha fatto entrare
nell'affascinante mondo della trasformazione
creativa dei conflitti secondo il Metodo Rondine.
In questo piccolo borgo medievale ad Arezzo, ogni
anno vengono ospitati nello Studentato
Internazionale – World House 300 giovani provenienti
da Paesi teatro di conflitti armati o post-conflitti
per trasformare il nemico in una persona attraverso
il lavoro difficile e sorprendente della convivenza
quotidiana.
Breve biografia
Nato ad Arezzo nel 1952, è fondatore e
presidente di Rondine Cittadella della Pace. È
psicologo e docente titolare del corso “Psicologia
del conflitto e della pace” presso la Pontificia
Università Lateranense. Ha fondato e dirige il
“Nuovo Laboratorio di Psicologia”, centro di ricerca
e azione in ambito psicopedagogico. È formatore e
punto di riferimento nel mondo dell’associazionismo,
soprattutto di matrice cattolica, nel dialogo
ecumenico e interreligioso. Nel 1988 apre un canale
di comunicazione con l’Unione Sovietica attraverso
Raissa Gorbačëva, allora presidente del Fondo
Sovietico per la cultura. Porta a Mosca la
testimonianza di pace di San Francesco d’Assisi
ponendo le fondamenta di proficue relazioni di
fiducia con alcune personalità della cultura e con
il Cremlino, che nel 1995 lo condurranno a gestire
una complessa mediazione di pace tra il Governo
russo e la secessionista Repubblica di Cecenia.
Diventato figura di riferimento per entrambe le
parti, nel 1997 accoglie la richiesta di ospitare
alcuni giovani nel borgo di Rondine, per educarli
alla leadership in Paesi dilaniati dalla guerra.
Fonda così Rondine Cittadella della pace, di cui è
tutt’oggi Presidente.
Nel 2006 è diventato consulente del ministero per le
Politiche della Famiglia, con delega per le
questioni dell’infanzia e dell’adolescenza. Ha
ricevuto numerosi riconoscimenti ed è autore di
articoli su quotidiani e riviste, libri e
pubblicazioni. |
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INTERVISTA |
A cura di Francesca Chirico |
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Presidente, innanzitutto vorrei dirle che per il
nostro laboratorio è un onore chiacchierare con lei
perché crediamo fortemente nel lavoro che portate
avanti infaticabilmente.
Rondine è una creatura
nata dalla storia viva di persone che ad un certo
punto si sono date un’organizzazione concreta per
ridurre i conflitti nel mondo e diffondere nel
panorama degli studi in materia, la metodologia
della trasformazione creativa dei conflitti in ogni
contesto.
Il vostro metodo ormai
ha travalicato i confini nazionali (lo Status
Consultivo Speciale presso il Consiglio Economico e
Sociale dell’ONU, la candidatura al Nobel per la
Pace nel 2015, l’interesse accademico di moltissime
università italiane ed estere…solo per citarne
alcuni), personalmente credo che la forza
dell’esperienza stia in quel legame inscindibile fra
idea e vita vera, tutto racchiuso nella definizione
della prof.ssa Allen: Rondine è «interlocutrice
della teoria e della pratica della trasformazione
dei conflitti a livello globale».
Mi scuso sin da subito se le domande potranno
apparirle banali, le legga come il genuino interesse
di chi ha di lei profonda stima e ammirazione e si
sente fortunata a poterle chiedere di persona alcune
curiosità maturate negli anni e per introdurle
vorrei partire da un’immagine che ho fotografato
qualche giorno addietro. È la scritta della
locuzione latina Hostis humani generis scritta su
una panchina del nostro lungomare.
Mi ha colpito il contrasto della scritta con il mare
che per Reggio Calabria, città di approdo per tanti
giovani in fuga dai conflitti, è sinonimo di
accoglienza. Eppure, questo giovane ha affidato a
quella panchina la delusione di sentirsi estraneo,
nemico, del genere umano…E mentre pensavo alle
domande da rivolgerle ho pensato come sarebbe bello
se ogni giovane trovasse un adulto significativo che
lo aiuti, proprio come a Rondine, a scoprire che il
conflitto è un’opportunità, che l’altro non ti è
nemico ma può diventare amico. |
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Con questa suggestione mi collego a quello che
vorrei chiederle. Lei ha raccontato che l’esperienza di
Rondine nasce da una telefonata seguita a una mediazione
segreta che stava conducendo durante la guerra in Cecenia,
quando la chiamò l’allora Rettore dell’Università di Groznyj
per chiederle di accogliere cinque giovani ceceni e lei
rispose: “Si, se accettano di venire insieme ai russi”. Da
quella risposta audace e, mi lasci dire, profetica quanta
strada è stata fatta… Ci racconta di Rondine Cittadella
della Pace?
Intanto grazie
dell’interesse e della disponibilità, anche per me è un
piacere e un onore poter interloquire con un gruppo di
ricerca su questo tema così fondamentale per la stessa
esistenza dell’umanità sul pianeta: il tema del conflitto.
Due parole sull’origine. Lei ha ricordato uno dei passaggi
sulla storia. Noi facevamo da sei mesi una mediazione
segreta durante la prima guerra in Cecenia nel 1995 che
portò al primo cessate il fuoco in quella guerra iniziato il
30 maggio del 1995 e finito il 2 di giugno, dalla mezzanotte
alla mezzanotte.
Quel cessate il fuoco non durò, come tutti i primi cessate
il fuoco; ed è quello che stiamo cercando di ottenere in
tanti teatri di guerra in questo momento. Fallì esattamente
a metà e ripartì la guerra e noi, come mediatori come si
dice in gergo, fummo bruciati. Cioè, fummo messi fuori ed
entrarono nuovi mediatori.
Però era nato qualcosa di importantissimo, era nata la
fiducia delle parti.
Le parti quando si affidano a un mediatore hanno fiducia che
il mediatore possa accogliere con sincerità le ragioni delle
parti e che faccia tesoro di questa empatia per raggiungere
l’obiettivo che, in quel caso, era il cessate il fuoco.
Questa fiducia, ricordava giustamente, arrivò con una
telefonata del Rettore dell’Università di Groznyj: “Prendimi
un po’ di ceceni”.
Era mezzanotte e mezza e io gli dissi: “Si, figurati se non
li prendo, però anche i russi! Perché ormai io non mi muovo
da questa linea” e lui rispose: “Se trovi due russi disposti
a dormire in camera con i ceceni noi non abbiamo problemi”.
Quindi fu una sfida nella sfida e le sfide mi intrigano,
così mi misi a cercare i russi, li trovai e iniziammo
l’avventura di Rondine Cittadella della Pace, 27 anni fa.
Vorrei commentare l’immagine dell’inizio che è molto
interessante. Intanto mi ha riportato sul vostro
meraviglioso lungomare sul quale facemmo risonanza e
racconto con i giovani; le coppie di nemici raccontarono la
storia della trasformazione del loro conflitto lì sul
lungomare, in quel bellissimo teatro, in una notte
indimenticabile e mi ha suscitato un’emozione.
E poi perché quella scritta è interessante perché hostis è
nella radice anche di hospes.
Cioè, l’antica radice hos va sia nella declinazione
dell’ostilità, sia nella declinazione dell’ospitalità e
questo mi serve molto perché voi vi impegnate per ridurre i
conflitti nel mondo, ma mi permetterei di dire che noi ci
impegniamo per ridurre i conflitti armati nel mondo, perché
i conflitti non si riducono mai. I conflitti si trasformano.
Il conflitto è la vita dell’umanità che cresce attraverso
differenze che restano in qualche modo “legate” in modi
differenti. Noi siamo legati all’aria, al cielo, alla terra
e, dall’epoca di un premio Nobel per la fisica, sappiamo che
un battito d’ali in Amazzonia può produrre effetti e
cataclismi in Europa. È un paradosso, ma ci serve a dire che
siamo tutti collegati in qualche modo. Ma anche che siamo
tutti differenti e i conflitti nascono da queto legame di
differenze.
Questo è il nostro modo di vedere il conflitto; non è
qualcosa né di neutro né semplicemente che emerge in alcuni
momenti della vita e noi possiamo trasformarlo in occasione:
il conflitto esiste sempre perché ci sono differenze che
sempre s’incontrano. Siamo noi che dobbiamo diventare
consapevoli di questo e orientarlo. Allora prendo la sua
immagine meravigliosa e dico: trasformarlo dal rischio di
essere hostis alla volontà di diventare hospes,
dall’ostilità all’ospitalità. |
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Allo Studentato World
House arrivano giovani da tutto il mondo che attraverso il
vostro progetto educativo-formativo vogliono cambiare sé
stessi e le relazioni tra loro, fino ad arrivare ad incidere
sui rapporti tra i rispettivi popoli in guerra. Il conflitto
non si può ridurre ma si può trasformare, ed è quello che
fate a Rondine, perché il conflitto lacera sempre qualcosa e
molti si chiedono come sia possibile ricucire le ferite
dell’odio trasformandole in amicizia e tirando fuori le
potenzialità generative della relazione, anche di quella con
chi convenzionalmente dovremmo considerare ostile, “nemico”.
In una parola, a Rondine il conflitto non si studia
semplicemente e forse neanche si gestisce, ma si trasforma.
Il vostro approccio relazionale al conflitto ruota attorno
ad alcune parole chiave che cerchiamo di applicare nei
piccoli conflitti quotidiani che gestiamo ai nostri tavoli
di mediazione: persona, fiducia, dialogo, attenzione,
immaginazione e creatività culturale…ci parla della pratica
di trasformazione creativa dei conflitti?
La pratica è intanto la
convivenza. Convivenza di due anni a Rondine; il programma
di World House prevede che le coppie di “nemici” israeliani
e palestinesi, serbi e bosniaci, ucraini e russi, convivano
due anni in questo piccolo francobollo di terra che è il
borgo di Rondine. Quindi intanto la convivenza, però bisogna
aggiungere altro. Ormai lo sappiamo dopo anni di esperienze
people to people un po’ ingenue che mettevano insieme a
dialogare le persone, abbiamo visto che purtroppo non hanno
portato gli esiti sperati, perché non basta stare insieme,
non basta parlarsi, bisogna parlarsi con metodo.
Ed ecco allora il tema di
Rondine. Nel mio prossimo libro Ecologia del conflitto
introduco un tema molto importante e cioè che tra tutti noi
c’è una soglia invisibile, ma c’è una soglia che bisogna
imparare a vedere, a prenderne coscienza e a stare sulla
soglia perché altrimenti, anche senza volerlo, invadiamo il
territorio dell’altro.
La pratica di questa
trasformazione è stare sulla soglia. Che vuol dire “stare
sulla soglia”? Prima di tutto esercitare l’ascolto, e quindi
non reagire ma mettere una soglia tra l’ascolto e il proprio
parlare, mettere un tempo, mettere una punteggiatura perché
possa avvenire un discorso. E allora può avvenire che si
parla anche dei propri dolori, delle proprie ferite quelle
che ricordava, delle lacerazioni, ma prima di tutto vengono
ascoltate e accolte. Ecco l’esercizio dell’hospice,
dell’ospitalità; ospito te, con il tuo dolore, poi dopo e
non in modo reattivo, ma dopo un attimo di silenzio e la
punteggiatura, tu accoglierai anche il mio, ascolterai anche
il mio. Questo è fondamentale perché il conflitto è dato in
natura, il dialogo è un’arte culturale, il dialogo è una
pratica nella quale bisogna entrarci dentro. E il dialogo
che cos’è? È non stare alla superficie delle emozioni ma
arrivare nelle profondità dei dolori; allora si costruiscono
le relazioni. A Rondine siamo un po’ disincantati su delle
idee un po’ ingenue di dialogo, per costruire le relazioni
nella vita ordinaria e tanto più dove c’è stata una ferita,
bisogna arrivare agli stadi profondi del dolore perché
scopriamo una cosa importante, che la storia è stata e
quella non la cambierà mai nessuno ma le letture di questa
storia e le emozioni che ti risolleva, insieme a un altro –
nella relazione – possono cambiare e rendere più domestica
quell’esperienza selvaggia del dolore che ciascuno di noi ha
vissuto. |
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Lei parlava di confine e l’etimologia cum finis
in una delle sue accezioni significa frontiera: il luogo
dove ci si ritrova di fronte a qualcuno, lo si può guardare
negli occhi prima di decidere se superare la soglia e di non
invaderne il campo, però per fare una conoscenza vera,
diretta, profonda. Questa idea del mettere insieme, di
scommettere sulla formazione dei giovani, voi lo fate con la
campagna globale Leaders for Peace, per quei giovani che
stanno su una opposta linea di confine, su questa frontiera,
dando quell’accezione di cum finis come frontiera
nella quale ci si guarda occhi negli occhi e non in cui ci
si arma. Quanto crede che l’educazione dei giovani possa
davvero contribuire ad attivare processi di peacebuilding e
può cambiare la società e la politica degli Stati?
Si, però l’aggancio per
ritrovare passione e impegno civile in senso più lato, si va
dal voto durante le elezioni all’uscire di casa e lasciare
il divano, la poltrona ed incontrarsi, fare gruppo, fare
comunità, passa sempre attraverso una relazione.
C’è l’individuo e c’è la massa, sono saltate, sono in crisi
tutte le relazioni intermedie. La vita sociale, invece, si
compone di un reticolo di relazioni differenti; quindi,
rimettere l’accento sulla relazione e sulla conflittualità
che ogni relazione porta, educa a non averne paura ma a
viverle, perché vivendole si vede che sono relazioni che
tirano fuori i nostri potenziali, le nostre energie.
Non sono una diminuzione di sé, ma sono un’amplificazione di
sé, sono la maturazione piena del sé.
La cultura contemporanea fa fatica a capire questo, perché
relazione vuol dire legarsi, la cultura contemporanea è
malata di voglia di libertà allora come faccio a diventare
libero legandomi, sembra un paradosso; e invece le relazioni
ci insegnano che si diventa liberi solo passando attraverso
i legami. È un paradosso umano, ma è questo. |
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Lei è psicologo, docente, educatore e formatore:
quanto la multidisciplinarietà ha contaminato il Metodo
Rondine e in che misura ci entra il Diritto?
Il Metodo, siccome è un Metodo
che va alle radici dell’umano, direi che è ontologicamente
interdisciplinare, nel senso che l’umano è la radice di ogni
nostra modalità di esistenza in tutte le sue declinazioni
dell’umano. Dall’antropologico si va allo psicologico, al
culturale, all’economico, si va fino allo spirituale. Sia le
scienze più propriamente delle relazioni internazionali, sia
quelle della psicologia sociale, della sociologia, ma anche
quelle dell’economia o della politica, vi rientrano
inesorabilmente.
Noi abbiamo fatto da poco un appello alle forze politiche,
ai segretari nazionali e stanno rispondendo i partiti, con
lo slogan antico e nuovo: Avversari si, nemici mai! Il
conflitto nell’agorà della politica deve sviluppare tutte le
differenze, deve sviluppare appartenenze diverse, anche la
polemica, ma mai l’inimicizia. E chi è impegnato in politica
nelle istituzioni deve sentire la responsabilità di essere
un esempio di stare nelle differenze senza far nascere
inimicizie. |
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Lei recentemente lei ha dichiarato che non ci sono
guerre più importanti delle altre. Ed è vero, troppe guerre
dimenticate si combattono ancora nel mondo. Tuttavia, la
guerra fra Russia e Ucraina e l’intervento di Israele a Gaza
con tutto quello che sta succedendo in Iran, rischiano di
destabilizzare gli equilibri internazionali travalicando i
confini regionali. Lei pensa che ci siano delle reali
prospettive di una pace duratura? Perché sino a ora ogni
tentativo di negoziato è fallito?
Qui mi porta su uno
scenario di geopolitica dal quale mi vorrei astenere perché
Rondine non entra nel merito delle politiche attive dei
Governi. Rondine è saldamente impegnata sul tema che
pronunciammo in quella mediazione dalla quale siamo partiti
nella nostra intervista. Al Cremlino, quando ci chiesero
perché siete qua, rispondemmo: noi siamo qua perché un
minuto in meno di guerra è una vita umana in pi. Punto. Noi
siamo sempre contro la guerra, siamo contro ogni guerra,
siamo perché il cessate il fuoco arrivi prima possibile, che
non è la logica militare ovviamente, è la logica della
società civile, è la logica delle vittime civili innocenti
che ormai crescono in ogni guerra. Noi siamo saldamente qui.
Un rapidissimo giudizio di carattere generale è chiaro che
nell’immediato questo scoppio di guerre a pezzi nel mondo –
guerre che sono orribili in ogni loro edizione e per noi i
ragazzi che ospitiamo sono tutti amici e fratelli e sorelle
con la stessa dignità, non perché vengono da una guerra
sperduta dell’Africa di cui non si parla mai nei giornali,
valgono di meno e siamo equamente coinvolti, equamente
doloranti con loro ed equamente empatici verso la loro
ostinata voglia di speranza - nello scenario mondiale
immediato, dicevamo, il mondo globale sta dando i suoi
esiti; è un mondo che perde un vecchio ordine e non ha
ancora un nuovo ordine, siamo in un’epoca di caos. Quindi
fare previsioni è molto difficile, mi atterrei a quelle cose
che rischiano la banalità: le guerre sono tutte finite, però
mai impariamo che sono inutili, che ogni volta non risolvono
problemi ma tutte le volte ne aggiungono di nuovi. |
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Presidente, io la ringrazio perché quell’immagine
del passaggio da “Solo sono un filo” a “insieme diventiamo
un tessuto” è un’immagine bellissima del lavoro educativo
che avete fatto in questi anni e che ha ispirato tanti di
noi che lavoriamo con il conflitto. Se è vero che la fiducia
reciproca è origine della relazione e si sviluppa solo
dentro un legame stabile con una persona che è differente da
me ma che è concreta perché ce l’abbiamo di fronte, posso
chiederle di lasciarci con una storia di trasformazione che
le è rimasta nel cuore?
È difficile sceglierle
per quante sono, perché sono meravigliose. Lei cita
quest’immagine a cui siamo molto collegati e affezionati del
filo e dei tessuti, direi che poi ci sono i ricami. Però
prima ci vogliono i tessuti, sennò i ricami non li possiamo
fare. I ricami sono questi passaggi particolarmente
luminosi.
Le dico l’ultimo cronologicamente, sperando di non fare
ingiustizie verso il valore di tutti gli altri.
A Palazzo Vecchio abbiamo dato la nostra testimonianza,
c’era Salomon della Nigeria a nome di tutte le famose guerre
dimenticate, c’erano una ragazza ucraina e una russa e
c’erano uno israeliano e uno palestinese; e il giovane
palestinese mettendo un bracco sulla spalla dell’israeliano
ha detto: Io il 7 di ottobre ho provato dolore. Io da
palestinese il 7 di ottobre ti ho capito e sono felice di
aver provato questo dolore, pensando che adesso, forse, voi
potrete capire meglio il dolore che proviamo da settantasei
anni. Solo se continuiamo a capire il nostro dolore verremo
fuori da questo grande guaio.
Mi sembra una bellissima testimonianza, perché era la voce
di un palestinese che potrebbe avere avuto anche, come ci
sono in tanta parte del mondo, un sentimento quasi di
macabra gioia e invece ha spento l’odio e ha detto sono
empatico con te, provo il tuo dolore, quello che io attendo
che voi proviate per noi da tanti anni. Ma io lo so che tu
lo stai provando, infatti siamo qui insieme, accomunati dal
dolore. Questo è meraviglioso, perché vuol dire che due
persone che tengono aperta la porta del reciproco dolore,
non vengono risucchiate in un gorgo di dolore, ma
paradossalmente si aprono al futuro, immaginano e desiderano
il futuro e lo rendono possibile; perché se loro spezzano la
catena dell’odio vuol dire che c’è un futuro. |
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Contatti:
rondine.org
- sito Rondne Cittadella della Pace
Ci siamo lasciati con la promessa di
rivederci a settembre per la Settimana della Mediazione e
poi con gli studenti della Mediterranea a Rondine. |
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