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Abbiamo chiesto a
Gabriele Nissim,
presidente dell'associazione Gariwo, di raccontarci chi
sono i Giusti e quali sono i percorsi di conciliazione
possibili fra il popolo israeliano e il popolo
palestinese.
Più che un'intervista, ne è venuta fuori una lunga
chiacchierata in cui il presidente Nissim ha spaziato
dalla politica alla filosofia, dalla morale alla cronaca
di questi giorni.
Ci ha consegnato il cpmpito di lavorare per la
conciliaizone raccontando le storie di bene che
caratterizzano da sempre i Giusti della storia ed
esortandoci a ricercare il bene possibile che
silenziosamente cambia il mondo.
Breve biografia
Nato a Milano nel 1950, ha fondato nel 1982 l’Ottavo
Giorno, una rivista sul tema del dissenso nei paesi
dell’Est europeo. Storico e giornalista e storico, ha
collaborato con il Giornale, il Corriere della Sera e Il
Mondo. Nel 1999 ha fondato Gariwo e nel
2003 ha promosso a Milano la nascita del
Giardino dei Giusti di tutto il mondo, che ha
ispirato la nascita di centinaia di Giardini in tutto il
mondo.
Dopo l’incontro a Gerusalemme con Moshe Bejski, il
giudice a capo della Commissione dei Giusti di Yad
Vashem, è stato promotore della campagna che ha portato
alla proclamazione della Giornata europea dei Giusti (6
marzo, data della scomparsa dello stesso Moshe Bejski),
istituita dal Parlamento Europeo nel 2012 e recepita nel
2017 dal Parlamento italiano. |
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INTERVISTA |
A cura di Francesca Chirico |
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Mi sento molto legata a quel concetto di bene
possibile da costruire nelle contingenze storiche, con
quella bontà insensata di cui lei parla e che ci porta a
pensare che non debba esserci un motivo specifico per essere
giusti.
Per cui le chiedo subito: Chi sono i giusti?
Dopo la Seconda Guerra
Mondiale sono nate tre parole nuove che non esistevano.
La prima è la parola genocidio che è stata inventata da
Raphael Lemkin che dopo esser stato testimone diretto della
Shoah trovandosi in Polonia e per avere assistito,
precedentemente, al genocidio armeno, si rese conto che non
esisteva una parola che definisse uno sterminio inteso come
un'operazione che mira all'eliminazione degli esseri umani.
Churchill, per esempio, parlava di un crimine senza nome e a
livello internazionale non erano sanciti i crimini contro
l'umanità che colpivano una nazione che poteva anche essere
"eliminata".
Allora Lemkin inventò la parola genocidio che è un ibrido
tra il greco genos e il latino cidio e fece una battaglia
perchè la comunità internazionale approvasse la Convenzione
per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio.
Lemkin è stato capace di inventare una nuova parola nel
vocabolario politico.
Pensiamo alla storia di Antigone, mossa dall'idea che un
essere umano dovesse preservare comunque l'umanità,
indipendentemente dalla politica degli stati; quindi,
umanità significava potere seppellire suo fratello. Lemkin,
invece, disse che l'umanità non doveva essere preservata
solo dagli individui, ma da un ordinamento internazionale
che prevenisse il male, un ordine superiore a cui una
persona si poteva rivolgere quando accadevano dei crimini
contro l'umanità.
Fra l'altro Lemkin aveva letto Quo vadis e questo era stato
l'elemento di partenza del suo impegno. Lui diceva che al
tempo della persecuzione dei cristiani a Roma non c'era
nessun "poliziotto buono" che potesse aiutare un cristiano,
e allora questo "poliziotto buono” bisognava crearlo, perché
quando accade un crimine contro l'umanità qualcuno potesse
andare in soccorso. Lui pensava ad un'autorità
sovranazionale che dovesse prendere parte e aiutare chi
soffre, questa è stata la sua grande intuizione.
La parola giusto è la seconda parola che entra nel
vocabolario da un punto di vista politico e indica colui che
si oppone al genocidio.
Quando in Israele viene creato il Giardino dei Giusti e si
dice che bisogna ricordare gli uomini che hanno salvato e
sono andati in soccorso degli ebrei, si parla di una
categoria nuova: gli uomini che si sono assunti la
responsabilità nei confronti di un genocidio.
Allora se noi vediamo bene, i due concetti genocidio e
giusti sono legati perchè, se il genocidio descrive una
forma di sterminio, il giusto è l'essere umano che
interviene per prevenire o per aiutare delle persone che
sono condannate in un genocidio.
Il terzo è un concetto, quello del Giardino dei Giusti che
significa che l'umanità deve ricordare non soltanto le
vittime, ma soprattutto le persone che in ogni tempo hanno
compiuto degli atti di umanità.
Quindi, il Giardino dei Giusti è il luogo che dovrebbe
ricordare queste persone.
È molto importante però analizzare questa categoria di
“giusto” perchè c'è un elemento di carattere politico: la
persona giusta è quella che si ribella, che prende posizione
nei confronti del genocidio.
Ma è qualcosa di più, il concetto di giusto pone la
questione che ogni essere umano indipendentemente dalla
posizione che occupa, dal luogo in cui si trova,
indipendentemente se sia un grande capo di stato o un
artigiano o persino un malfattore, un faccendiere com'era
Oskar Schindler, qualsiasi essere umano ha sempre la
possibilità di decidere il proprio destino.
Questo concetto è molto importante, perchè i genocidi e i
crimini contro l'umanità avvengono sempre per scelta
dell'essere umano. Non sono un fatto sovrannaturale, non
sono un tsunami, non nascono da un male insito nella storia,
i genocidi e i crimini contro l'umanità nascono sempre dalle
scelte degli uomini.
Sono gli uomini che decidono di uccidere, di sterminare.
Allora, se è così sono sempre gli stessi uomini che possono
opporsi in ogni situazione ai crimini contro l'umanità.
Voi avete presente il concetto di indifferenza, c'è questa
famosa frase scritta a caratteri cubitali al memorale della
Shoah.
Perchè i genocidi, i crimini contro l'umanità nascono perché
ci sono dei carnefici, ma anche perchè ci sono delle persone
indifferenti che voltano la testa dall'altra parte.
Chi sono i giusti, i giusti sono invece le persone che non
voltano la testa dall'altra parte. Sono le persone che si
assumono una responsabilità. E se vediamo la letteratura, La
Boétie, amico di Montaigne scrisse che i despoti possono
agire dove trovano il consenso, perchè nella misura in cui
si toglie il consenso, la forza dei dittatori finisce. La
Boétie parlava di servitù volontaria. Il male esiste perchè
le persone dicono di sì e si adeguano alla situazione. Se
una persona inizia a dire di no, cade il potere di un
autocrate.
Credo che questo sia un concetto legato alla questione dei
giusti, perchè i giusti sono sempre degli individui che si
assumono una responsabilità.
Quando c'è qualcuno che accende la miccia del bene o che è
capace di andare contro a delle leggi ingiuste si può creare
un movimento collettivo che mette in discussione una
dittatura.
I giusti, per intenderci, non sono solo persone che hanno
salvato delle vite o che hanno agito per il bene
dell'umanità, sono le stesse persone che possono mettere in
moto la società.
Quando Václav Havel usava l'espressione il potere dei senza
potere, intendeva dire che ognuno di noi non ha il potere su
tutto, ma ha il potere su se stesso.
Se metti in moto il potere su te stesso, allora potrai anche
scalfire un potere ingiusto perchè si crea quello che
Leopardi definiva la catena della ginestra, una rete
collettiva che può mettere in discussione un potere
ingiusto.
Esiste un rapporto tra l'azione di un giusto e un meccanismo
che può portare a rompere il muro dell'indifferenza. Il
giusto non agisce solo individualmente è quello che crea le
condizioni per un meccanismo collettivo.
È importante ragionare su chi sono i giusti.
Si può definire un giusto come un essere umano e non come un
santo o un eroe. A volte c'è l'idea che una persona per fare
un gesto di umanità dovrebbe essere una persona votata alla
rinuncia di sè. Questo è un concetto un po' vittimistico.
Noi dobbiamo pensare, invece, che la persona giusta è un
essere umano con tutti i difetti e con tutte le
contraddizioni degli esseri umani e che agisce non per
rinunciare a sè ma perché, quasi, sente un senso estetico e
non può sopportare il male intorno a sè.
Il concetto di giusto è legato sempre al concetto di
bellezza. Come una persona ama il bello, così non può
sopportare che ci sia un mondo inquinato. Una persona che
agisce lo fa sempre a partire da un fatto, quasi direi,
“estetico”; perché non può sopportare il male e si ribella
al male a partire da sè e non da una rinuncia di sè.
Lo si fa per stare meglio con sè stessi, non per stare
peggio. Anche se poi ai giusti ne capitano di tutti i
colori, perchè chi si ribella contro leggi ingiuste viene
perseguitato da altri esseri umani… ma il punto di partenza
è sempre un elemento personale per stare meglio con sè
stessi.
Non dobbiamo considerare i giusti come eroi, come dei
perfetti.
Io ho raccontato nei miei libri alcune di queste storie
evidenziando l'umanità del giusto ma nello stesso tempo
anche i suoi difetti.
Pesce, che salvò gli ebrei in Bulgaria, aveva appoggiato le
leggi razziali, poi scosso da un amico ha preso coscienza e
ha cambiato idea.
Armin Wegner, che denunciò il genocidio degli armeni e che
poi prese posizione contro Hitler, quando fu torturato in
carcere dopo avere scritto una lettera di condanna ad Hitler
a seguito delle leggi razziali, abiurò per non morire e
scrisse una seconda lettera in cui diceva che era pronto a
lavorare per il Terzo Reich.
La sua vita non fu facile, dovette emigrare dalla Germania,
ma abiurò per salvare la sua vita, anche se si era battuto
per salvare la vita degli armeni e poi degli ebrei.
Noi dobbiamo raccontare le storie dei giusti come storie
umane non come storie di eccellenza.
Moshe Bejski, artefice del Giardino dei Giusti a
Gerusalemme, mi diceva che, se noi proponiamo alle persone
di essere eroi nessuno sarà giusto.
Noi dobbiamo proporre agli esseri umani di fare il bene
possibile.
Vorrei aggiungere un concetto che dovrebbe essere
maggiormente elaborato: noi immaginiamo il giusto come colui
che agisce nelle situazioni d'emergenza. È vero, esistono
queste persone ed è compito nostro raccontarle, però noi
dobbiamo pensare che la figura più importante del giusto è
quella che previene il male.
Quando il male si è compiuto, noi parliamo delle macerie.
Fare memoria delle macerie non è spesso gratificante. Invece
l'dea del giusto che noi vediamo raccontata nel Talmud e
nella Bibbia e che ha tanti risvolti nella filosofia, per
certi versi nel mondo classico, è quella della persona
giusta che tiene le redini del mondo. Tanto è vero che si
parla di giusti nascosti, cioè persone che tengono le
fondamenta del mondo.
Chi sono queste persone? Sono le persone che con il loro
comportamento cercano di prevenire il male, capaci di
mantenere l'umanità.
Questo da un punto di vista etico e filosofico, ma
traduciamolo dal punto di vista un po' più politico nel
nostro tempo. Le persone giuste sono quelle che intervengono
prima che il male si compia. Perchè il male si compie
attraverso tante tappe come suggeriva la filosofa Ágnes
Heller che parlava di stazioni del male.
Il male parte da parole malvagie, parte dal disprezzo
dell'altro, poi arriva a un'identificazione negativa delle
minoranze, arriva attraverso forme politiche di
discriminazione più o meno esplicite e può arrivare alla
fine ai crimini contro l'umanità, fino allo sterminio.
Allora, quello che è importante è valorizzare tutte le
persone che sono capaci di arrestare il male nella sua
genesi. Ecco, questo concetto dovrebbe essere maggiormente
elaborato.
Molto spesso, quando si celebrano le giornate della Memoria
si racconta il male quando è finito, io sono più dell'idea
che si debbano raccontare le tappe del male e
contestualizzarlo nel nostro tempo.
Il campo di concentramento è il punto finale. Al campo di
concentramento si arriva passo dopo passo: questi passi che
portano al male devono essere evidenziati e devono essere
compresi.
Il discorso sui giusti è un discorso che ci deve fare
riflettere sulla possibilità di prevenzione prima che il
male accada.
Questa è stata l'intuizione di Raphael Lemkin. Quando
immaginò la Convenzione per la prevenzione dei genocidi e
parlò di questo nuovo comandamento morale "Non commettere
genocidio", aveva in mente di darsi degli strumenti per
prevenire il male.
Lui è passato alla storia come colui che ha permesso
l'istituzione dei Tribunali per i crimini contro l'umanità e
nel suo pensiero aveva parlato della punizione dei
colpevoli, però diceva anche che a chi stava in Polonia nel
ghetto di Varsavia, ad esempio, non interessava pensare al
processo dei carnefici, interessava di essere salvati.
Noi pensiamo che l'aspetto principale sia la punizione del
colpevole; invece, l’aspetto principale è la prevenzione del
male, non la mera punizione del colpevole, anche quando è
giusta.
Questo suo pensiero si lega in modo molto chiaro al concetto
dei giusti ed è molto importante e venne poi ripreso nei
processi di Norimberga e dalla giurisdizione internazionale:
una persona che ubbidisce alle leggi ingiuste di uno Stato è
colpevole. Anche se le leggi di uno stato totalitario ti
dicono che devi colpire le minoranze, punire i nemici;
Eichmann i gerarchi dissero a Norimberga "Noi abbiamo solo
ubbidito a degli ordini".
Lemkin si era posto questo problema del male fatto per legge
e aveva concluso che davanti a delle leggi ingiuste bisogna
disubbidire perchè esiste una legge dell'umanità molto più
importante.
Dunque, chi è quello che disubbidisce a queste leggi e non
diventa Eichmann? È il giusto. |
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Sarebbero moltissimi i passaggi da
commentare: dallo scandagliare le tappe del mare
all'accendere quella miccia del bene.
Lei è stato promotore dell'istituzione della Giornata
europea dei Giusti e ha dichiarato che recependola, anche
l’Italia si è assunta l’impegno di intraprendere una nuova
narrazione del conflitto, una sorta di diplomazia del bene.
In questi giorni abbiamo assistito al risveglio di un male
che sembrava sopito e che, invece, ha aperto uno squarcio
sulla nostra sonnolenta indifferenza. La questione di
Israele e della Palestina l'avevamo un po' accantonata
complici "i riflettori" - mi passi il termine - che si erano
accesi sul conflitto ucraino, come se ci fosse un conflitto
più cogente e attuale che ci fa dimenticare tutte quelle
altre tappe del male che si sviluppano nelle altre parti del
mondo.
Le immagini dell'attacco di Hamas, ma anche dell'assedio di
Gaza e dei bombardamenti ci richiamano alla responsabilità
della memoria.
Perchè è vero che c'è un bene insensato, ma c'è anche
un'insensatezza del male, l'olocausto ne è l'icona per
eccellenza. Ogni 27 gennaio ricordiamo gli orrori compiuti
dai nazifascisti, e guai a non farlo. A me colpisce molto
che la vostra associazione racconti anche di una Memoria del
Bene come strumento educativo e di prevenzione dei crimini
contro l'umanità.
Allora le chiedo innanzi tutto quanto la conoscenza e
l'educazione possano portare ad una pacificazione e poi
vorrei aprire un focus su quello che sta succedendo in
Palestina.
Le domande sono tante,
partirei dalla prima.
Quando abbiamo promosso la Giornata dei Giusti e i Giaridni
dei Giusti, abbiamo preso come riferimento sia Raphael
Lemkin l'ideatore per la Convenzione sulla prevenzione dei
genocidi, sia Moshe Bejski che è stato l'artefice del
Giardino dei Giusti di Gerusalemme e abbiamo voluto che
questa idea di giardino diventasse universale, che non
ricordasse solo i giusti che hanno salvato gli ebrei, ma i
giusti che hanno salvato tutti gli esseri del mondo in
qualsiasi contesto.
La nostra idea è quella che i Giardini dei Giusti
diventassero per la società uno strumento culturale per la
prevenzione dei genocidi, perchè le Convenzioni, sia quella
delle Nazioni Unite sia quella di Lemkin non "vivono" nella
società, sono dei riferimenti che però non impegnano gli
individui.
Allora abbiamo pensato che i Giardini dovessero diventare
uno strumento culturale per far vivere queste Dichiarazioni
e, soprattutto, dovessero essere uno strumento per educare
la società in modo tale che venisse a conoscenza di tutti i
crimini contro l'umanità (perchè non esiste un crimine
unico, ne esistono tanti) e che un cittadino, attraverso
questi Giardini, diventasse cittadino del mondo e non
cittadino di un solo paese.
Il Giardino dei Giusti, il cui nome completo è il Giardino
dei Giusti di tutto il mondo, promuove proprio la
responsabilità rispetto al mondo non solo la responsabilità
rispetto alla condizione particolare di un individuo.
In secondo luogo, il Giardino dei Giusti pone questo
concetto: noi siamo abituati a pensare che i conflitti si
risolvano attraverso la diplomazia degli stati e il ruolo
delle istituzioni - il che ovviamente è vero - ma sappiamo
benissimo che qualsiasi istituzione, anche la migliore
finisce per avere alcuni "tic", perchè qualsiasi Paese fa
dei compromessi nei suoi rapporti. I Giardini possono essere
uno strumento per affermare i diritti umani a partire dalla
società, a partire dagli individui.
Ad esempio, se l'Italia ha dei rapporti con l'Egitto che
ostacolano il chiarimento della vicenda su Regeni, i
Giardini non rispondono alla diplomazia degli Stati, ma
rispondono alla diplomazia delle coscienze per cui
ricorderanno sempre la storia di Regeni.
Noi dobbiamo essere realisti e sapere che la traduzione in
politica dei diritti umani non ci sarà mai come noi
immagineremmo. Quindi, è molto importante il ruolo
dell'attivizzazione delle coscienze perchè, quando poi le
coscienze si mettono in moto si creano dei miracoli. Non è
quantificabile l'azione di un individuo oppure di tanti
individui perchè non risponde alle leggi della politica.
Questa azione è quella di una società che si mette in moto e
crea delle situazioni totalmente inaspettate, capaci di
cambiare anche la politica, creare delle simpatie, dare
forza ad oppositori ai regimi nei paesi in cui si violano i
diritti umani (penso alla mobilitazione in favore delle
donne iraniane). Così, si creano forme di solidarietà
sovranazionali che hanno degli effetti, perchè la cosa
peggiore per chi combatte per i diritti umani è trovarsi
isolato; invece, se si creano delle solidarietà che nascono
da società a società si creano dei meccanismi importanti.
I Giardini dei Giusti hanno questo ruolo di attivizzazione
delle coscienze e permettono di fare azioni inaspettate.
Nel Giardino di Milano abbiamo fatto incontrare
russi e ucraini per i quali il conflitto ha creato dei muri.
Adesso immaginiamo di avere un ruolo per fare incontrare le
persone che vogliono la Pace in Medio Oriente. |
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La questione israelo-palestinese
In questo conflitto si
rischia di cadere nella trappola della creazione di due
grandi partiti: il partito che ricorda i diritti degli
israeliani e il partito che ricorda i diritti dei
palestinesi e questi due partiti cozzano.
Io credo, invece, che nostro compito dovrebbe essere quello
di mettere assieme le persone che lavorano per il dialogo e
la conciliazione.
Io faccio sempre riferimento ad Amos Oz, il grande scrittore
israeliano che ha scritto libri sul fanatismo che inviterei
a leggere oggi, che diceva che in Medio Oriente tragicamente
si scontrano due desideri di giustizia, due popoli per la
stessa terra; quindi, si scontrano due diritti che portano a
questa situazione tragica. Se noi partiamo dal presupposto
che esiste il diritto degli israeliani di vivere in pace e
sicurezza, come il diritto dei palestinesi di vivere in pace
e sicurezza, quale dovrebbe essere il nostro compito? Il
nostro compito dovrebbe essere quello di lavorare per la
conciliazione.
Io vedo molto negativamente quando si formano i cortei
contrapposti. Sognerei cortei in cui si mettono assieme
israeliani e palestinesi, ebrei e musulmani che lavorano per
la conciliazione.
Questo conflitto ha tanti elementi di tragicità. Ci sono
tante voci del mondo ebraico, nel mondo israeliano che
mostrano la compassione, scrivono sui giornali per i diritti
dei palestinesi e invece, purtroppo, nel mondo arabo
palestinese non ci sono persone che, quando rivendicano i
propri diritti rivendicano quelli degli altri. Questo è un
elemento su cui cerchiamo di lavorare come Gariwo, perchè
cerchiamo di scoprire, anche sul nostro sito, chi
all'interno dei due campi ha una posizione coraggiosa.
Noi possiamo fare un discorso storico di analisi e
raccontare tutti gli errori di uno e gli errori dell'altro,
ma non si finisce mai.
Secondo me bisogna partire da un altro punto: israeliani e
palestinesi saranno costretti un giorno a vivere assieme.
Io non credo, almeno come sostiene Yehuda Bauer grande
studioso della Shoah - che nessuno riuscirà a "cacciare"
l'altro, tutti e due i popoli saranno costretti a vivere
assieme; quindi, la nostra attenzione deve essere
focalizzata per trovare il dialogo e la pace, come lavora
Nevè Shalom e tante altre associazioni.
La passione non dovrebbe essere quella di prendere parte, ma
quella di lavorare per la conciliazione. Partiamo da un
discorso filosofico che ci ha ricordato lo scrittore Harari,
noi siamo terzi e in questo momento non possiamo immaginare
che ci possa essere compassione degli abitanti di Gaza verso
gli israeliani e degli israeliani verso gli abitanti della
Striscia, dopo quello che è successo con Hamas. Dice Harari,
voi che siete fuori, che non ricevete le bombe, che non
siete stati stuprati, non siete stati violentati, non avete
visto le scene nei kibbutz, che domani mattina quando vi
alzate dal letto non avete le bombe e non sapete dove
andrete, avete il privilegio di essere terzi e questo
privilegio vi consente di agire in modo più umano. Io mi
ricordo uno degli elementi delle filosofia stoica che può
sembrare paradossale, Epiteto e Marco Aurelio dicevano "Sii
indifferente alle cose indifferenti e preserva la tua anima
morale".
Cosa vuol dire? Tu devi essere indifferente alle cose che
non dipendono da te (e in effetti la guerra in Medio Oriente
non dipende da noi, sono altri gli attori), quindi se fai
finta di essere un attore sbagli, se pensi di diventare un
palestinese o un israeliano, commetti un grandissimo errore
perchè non sei uno di loro.
Invece dicevano Marco Aurelio e Epiteto, il problema è
preservare il proprio carattere morale che vuole dire essere
capaci di raccontare la verità e di non farsi prendere da
letture sbagliate. Bisogna raccontare quello che è.
Se uno racconta il genocidio che ha fatto Hamas, deve
raccontare la politica di Hamas che vuole la distruzione di
Israele, bisogna raccontare il ruolo dell'Iran, bisogna
raccontare che quello che è accaduto è accaduto per una
volontà di annientamento; nello stesso tempo noi raccontiamo
quello che succede a Gaza, quello che succede nei Territori,
quindi dobbiamo raccontare la verità non dobbiamo coprire un
male con un altro male: questo è un atteggiamento morale.
Il secondo punto dell'atteggiamento morale è quello di
promuovere il bene. Noi che non siamo coinvolti dobbiamo
darci da fare per promuovere tutte le persone di pace e di
dialogo e per renderle riconoscibili. La narrazione deve
essere non la narrazione dei combattenti, ma la narrazione
delle persone che in questo conflitto continuano comunque a
promuovere il bene e il dialogo...noi non le conosciamo
neanche. È il tema dei giusti nascosti, non siamo andati a
trovarli. Noi dobbiamo andare a trovare i giusti nascosti
che esistono nei due campi.
E questo dovrebbe essere il lavoro, che non è quello
semplicemente di fare il conto delle responsabilità, non
finiremmo più; anche perchè non esisterà mai nella storia la
giustizia assoluta. Non esiste mai la giustizia che torna al
punto di partenza - è una grande illusione - la giustizia
nasce sempre da dei compromessi, noi dobbiamo darci da fare
perchè questi compromessi siano possibili.
Io vedo oggi la necessità di sconfiggere la paura. Oggi, per
esempio, nel mondo ebraico c'è molta paura. Vediamo quello
che è successo nel Daghestan. C'è molta paura anche in
Israele. Il tema è come lotti contro questa paura, perchè la
paura può portare a chiuderti in te stesso, a pensare che
nessuno verrà in tuo soccorso. Invece lavorare contro la
paura significa considerare che le proprie fragilità si
superano attraverso la condivisione.
Io credo che un domani solo la creazione di due entità, una
israeliana e una palestinese, permetterà di superare le
fragilità reciproche.
Il paradosso è che per vivere domani in sicurezza ad Israele
non basta la forza militare, ci vuole il riconoscimento e
una condivisione con i palestinesi.
E i palestinesi potranno ottenere successo per uno stato
palestinese nella misura in cui conquisteranno gli
israeliani da un punto di vista etico.
Quindi è su questo piano che noi dobbiamo lavorare per la
pace in Medio Oriente, non facendo il tifo, il tifo non
porta a nulla. La cosa più pericolosa è che non ho visto
nessuna manifestazione per il dialogo promossa da nessuna
parte e questo è invece il tema che dovremo sviluppare. |
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Ci sono alcuni esempi come la manifestazione
di Firenze e quell'abbraccio fra l'imam, l'abate e il
rabbino, ci ha restituito un po' di speranza. Ma c'è una
grande complessità non solo nella questione palestinese, ma
anche nel mondo arabo. Gli arabi non sono tutti islamici.
Per chi ha visitato la Cisgiordania in quel racconto della
verità che lei dice i muri, i checkpoint, i divieti sono un
pugno allo stomaco e forse il "tifo" è anche dovuto dal
fatto che i media, soprattutto occidentali dicono poco dei
territori occupati e questo forse esaspera anche le
posizioni, perchè magari chi c'è stato, chi ha visto, sente
di pancia di dovere raccontare una certa politica di
Israele.
Quella politica di Netanyahu contro la quale molti
israeliani sono scesi in piazza.
Quindi è una situazione talmente complessa che semplificare
nella polarizzazione rende difficile la ricerca di una
soluzione.
Amos Oz, che lei prima ha citato, diceva che l'essenza del
fanatismo è forse ne desiderio di costringere l'altro a
cambiare. Io devo educare il mio coniuge, mio figlio, mio
fratello, piuttosto che lasciarlo vivere.
Il contributo della sua associazione, lei citava Nevè Shalom
con cui noi siamo in contatto, va valorizzato ed è la chiave
di volta.
Samah Salaime in un’ultima intervista ci ha detto l'Europa è
quella che può comprendere meglio perché ha visto crollare
alla fine ogni muro costruito per separare razza da razza, e
alla fine ha visto la vita sconfiggere la separazione.
Il mondo è attraversato
da tantissimi conflitti ed è molto importante vederli tutti.
C'è un po' questa cosa che un conflitto sembra coprire
l'altro, ma io voglio ricordare che in questo momento
continua la guerra fra Russia e Ucraina, non dimentichiamo
che Putin ha dichiarato che l'Ucraina non esiste, che è un
paese di nazisti e che questa guerra è nata da chi ha
sostenuto che bisognava tornare ai confini dello Stato
Sovietico, che le Repubbliche Baltiche fanno parte della
Russia che parte della Polonia è stata regalata dalla Russia
alla Polonia, insomma vengono messi in discussione i confini
dell'Europa, e non dimentichiamoci che la Russia ha soffiato
sul fuoco su questo conflitto con l'alleanza con l'Iran e il
sostegno indiretto ad Hamas, esiste un legame tra questo
conflitto e quello che sta succedendo oggi.
E non dimentichiamo cosa è successo in Karabakh, centomila
persone sono state espulse dal Karabakh con un intervento
fatto dagli Azeri con i Russi che dovevano essere mediatori
e invece hanno lasciato fare.
Noi dobbiamo prevedere queste minacce alla democrazia che ci
sono nel mondo, alla nascita di queste autocrazie, persino
alle minacce alla democrazia negli Stati Uniti con Trump,
noi dobbiamo inquadrare il conflitto in questo contesto
internazionale. Gli attori si sono mossi in un certo modo a
partire da un contesto, anche se poi gli attori possono
essere indipendenti.
Pensando a quello che succede in Medio Oriente noi stessi
dobbiamo avere un'idea di mondo. Pensiamo al ruolo dell'Iran
nella repressione delle donne: questa situazione viene usata
per compattare una società che si era mobilitata per
l'affermazione dei diritti umani. Pensiamo a Erdogan che ha
fatto fuori tutte le opposizioni e i giornalisti e poi va
nelle piazze per parlare dell'appoggio ad Hamas.
Io invito a guardare il conflitto guardando il mondo,
altrimenti commetteremmo degli errori.
E, infine, anche se può sembrare assurdo dobbiamo lavorare
sulla speranza.
C'è un punto che mi ha molto colpito e noi di Gariwo ce ne
siamo molto occupati. Per più di trenta settimane in Israele
c'era un movimento enorme di centinaia di migliaia di
persone che erano nelle piazze per mettere in discussione il
Governo di Netanyahu e la sua riforma sulla giustizia per
preservare l'idea che ci dovesse essere uno Stato che
sancisse un diritto che include anche i diritti delle
minoranze. Le piazze avevano messo in discussione la visione
del Governo di uno stato ebraico inteso non come stato
israeliano. Nelle piazze si dice che Israele è lo Stato di
tutti gli israeliani: drusi, cattolici, arabi israeliani.
La più grande tragedia è che nel momento in cui c'era questo
grande movimento c'è stato il colpo di Hamas.
Quegli israeliani si sono trovati a passare da questa grande
battaglia per il cambiamento di Israele a dover quasi
affrontare questa lotta per la sopravvivenza.
Quello che è successo ha creato in queste persone una paura
terribile, non ancora razionalizzata del tutto.
Noi dobbiamo ripartire da queste manifestazioni, perchè
tutte le voci che sono state in quelle piazze si faranno
risentire (in queste ore c’è la questione degli ostaggi; le
famiglie chiedono la liberazione dei prigionieri
palestinese, è una contraddizione che c'è in Israele).
Noi dobbiamo far conoscere quello che fa Nevè Shalom. Gariwo
ha fatto nascere il Giardino dei Giusti a Nevè Shalom.
La grande idea di questo giardino è che ci sono alberi che
ricordano gli israeliani e i palestinesi che hanno aiutato
durante le guerre.
Io amo la storia, ma in questo momento a me non interessa
perdere tempo nel fare analisi, mi interessa invece perdere
tempo per ricercare le persone giuste dei due campi.
Noi nel sito di Gariwo cerchiamo di raccontare queste storie
e dovrebbe essere questo l'impegno generale: mettere in luce
tutte queste storie di bene e cercare di creare una
connessione.
Questo conflitto non deve lacerare il nostro Paese, la cosa
peggiore è se si creassero, nel nostro Paese, lacerazioni
fra il mondo ebraico e il mondo musulmano. Sarebbe un danno.
In Francia questo scontro fra minoranze c'è. C'è la più
grande comunità ebraica e la più grande comunità musulmana.
Noi dobbiamo lavorare per evitare queste lacerazioni che a
me preoccupano molto perchè ognuno “parte dalla sua parte”.
Per tornare al discorso dei Giusti, chi sono i Giusti?
I Giusti sono quelli che riescono ad andare oltre la loro
appartenenza, persone che appartengono a una nazione ma si
sentono anche parte dell'altra nazione.
Infondo il giusto è una persona capace di essere due persone
nello stesso tempo: la persona - come in questo caso -
israeliana che si sente anche palestinese e viceversa.
Prendiamo la parabola del Buon Samaritano, è una persona che
vedendo per la strada il dolore altrui si ferma e ne prende
parte quando avrebbe potuto benissimo andare oltre.
Oggi bisogna pensare che uno deve sentirsi appartenente
all'umanità, non appartenente solo a una parte.
Se tu ti senti parte dell'umanità allora sai vedere l'altro
in modo diverso. Questo è un percorso molto difficile in un
momento di guerra, però è l'unica soluzione. |
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La ringrazio, mi viene da dire che se noi
lasciassimo fare alle realtà che in questo momento in
Israele e in Palestina lavorano per la pace - e sono
tantissime - l'associazione Rabbini per i Diritti umani,
Peace Now, Parents circle (l'associazione di genitori
israeliani e palestinesi che hanno perso i propri figli
durante il conflitto e ci dicono, piangiamo il sangue di
questi figli versato sulla stessa terra, piangiamo figli
seppelliti sotto la stessa terra), la Piccola Comunità
dell'Annunziata a Ain Arik, il Charitas Baby Hospital a
Betlemme, Daoud Nassar che vive senza odiare nella sua Tenda
delle Nazioni e gli amici di Nevè Shalom, se lasciassimo
fare a quell'umanità palestinese e israeliana, saremmo ad un
punto ben diverso di quello a cui la politica e gli
equilibri internazionali ci costringono.
So che è una chiosa piuttosto banale quella che sto facendo
anche per il livello della conversazione che lei ci ha
offerto, ma nel ringraziarla mi piace usare l'immagine a lei
cara del giardino, perchè c'è un seme che, se seminato e ben
coltivato nel cuore degli uomini, può germogliare.
Io ho lasciato il cuore in Palestina, anche davanti a quei
muri ho visto gente capace di ricostruire dalle macerie. Mi
auguro che non prevalga quell'indossare la casacca, quel
fare il tifo, ma prevalga la voglia di lavorare dalla stessa
parte: la pacificazione di due popoli.
La filosofia aiuta se
la si sa usare.
Walter Benjamin ebbe un'intuizione quando parlò dei
pescatori di perle.
Lui sosteneva che bisognava cercare di raccogliere le storie
di bene, di andare nel mare a trovare queste perle e
riportarle in superficie, perchè riportando in superficie
queste storie dimenticate e sconosciute, queste storie le
fai vivere; le fai diventare quasi un fatto politico.
Se tu racconti queste storie, tu cambi la percezione del
mondo. Dando valore a Nevè Shalom, a queste realtà, non stai
semplicemente raccontando storie di possibilità diverse, ma
inserisci nella Storia queste storie.
E questo ha un effetto! Inserendole nella storia (perchè gli
organi di informazione non lo fanno, il bene non è
raccontato) mostri che esiste un'altra possibilità e anche
se è minoritaria, quest'altra possibilità che tu racconti
può far pensare diversamente.
Credo che questo sia un compito molto importante che
dobbiamo portare avanti e che vale sempre, per qualsiasi
conflitto, noi dobbiamo mostrare sempre le altre possibilità
del mondo.
A me piace molto sognare! I Giardini dei Giusti, che sono
nati da un sogno, mostrando i Giusti mostrano le altre
possibilità dell'uomo e allora sta a noi divulgare queste
storie e farle vivere nella società
Non si tratta solo di raccontare gli oppositori, si tratta
di raccontare le storie per mostrare che gli uomini possono
scegliere diversamente. Questi Giardini mostrano la speranza
possibile o il bene possibile.
Ci prenderanno per pazzi, per sognatori, ma non è così è più
reale di quanto si pensi. |
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Grazie per questa testimonianza di speranza.
Penso che il dolore di questi giorni forse faticherà a
passare. Forse non si potrà assolvere tutto, perchè da una
parte e dall'altra alcune cose non troveranno assoluzione,
nè nell'assedio di Gaza, nè nell'attacco di Hamas.
Però si può perdonare, per questo raccontiamo storie di
riconciliazione e di perdono.
Chi avrebbe mai
immaginato che gli ebrei e i tedeschi si riconciliassero
dopo che abbiamo visto il più grande sterminio fatto dai
tedeschi. Oggi gli ebrei tornano a vivere in Germania e la
Germania è all'avanguardia nella battaglia contro
l'antisemitismo. Chi l'avrebbe mai immaginato?
Oppure, chi avrebbe mai immaginato che dopo l'apartheid un
uomo come Mandela riuscisse a riconciliare i bianchi e i
neri. Chi lo avrebbe mai immaginato?
Allora se questo è successo in queste pagine negative della
storia, perchè questo un domani non può succedere in Medio
Oriente. Forse ci vorranno generazioni e dobbiamo avere
pazienza, i cambiamenti non avvengono dall'oggi al domani,
le ferite non si cicatrizzano dall'oggi al domani, non
possiamo pensare che si risolva tutto con un colpo di
bacchetta magica. Però se nel passato questo è successo,
perchè non possiamo immaginare che possa succedere anche in
Medio Oriente?
Io dico sempre che bisogna guardare il Medio Oriente sempre
in modo universale, non come un fatto a parte, perchè la
storia del Medio Oriente fa parte della storia umana e la
storia umana ci ha mostrato come ci sono delle possibilità
enormi che sembravano assolutamente impossibili.
Etty Hillesum, che scriveva questo bellissimo diario, aveva
detto io lotterò contro l'odio, impedirò che l'odio ricada
su di noi ebrei perchè l'odio è la più grande malattia…Io se
troverò un tedesco buono lo difenderò anche se ci saranno
nel mondo ebraico delle figure che non lo vorranno vedere
perchè odiano i tedeschi, io però farò questo. Pensiamo alla
disperazione di Etty Hillesum per quello che le stava
succedendo e per quello che le sarebbe successo, ma quello
che immaginava Etty Hillesum si è realizzato. C'è stata una
conciliazione fra ebrei e tedeschi.
La storia ci dà degli strumenti per leggere anche il
conflitto in Medio Oriente.
Contatti:
https://it.gariwo.net/
- sito Associazione Gariwo - la foresta dei Giusti
Sono tante le contraddizioni di questo
conflitto, innumerevoli le immagini che passano su tutti i
nostri schermi, comunque la si pensi, la conciliazione è il
fine a cui tendere, per questo non possiamo che dire grazia
a Gabriele Nissim per la sua appassionata testimonianza di
apertura e dialogo. |
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