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Il 15 gennaio è stato annunciato l’accordo fra
Israele e Hamas per il cessate il fuoco che si
svilupperà in tre fasi e partirà dal 19 gennaio.
Nell'attesa della firma, che è arrivata il 17
gennaio, abbiamo chiesto a Lorenzo Cremonesi
di aiutarci a comprendere i termini
dell'accordo, il contesto internazionale, le nuove
dinamiche alla luce del nuovo mandato alla Casa
Bianca di di Trump e le prospettive per la
Cisgiordiania.
Tanti gli spunti che ci ha regalato spiegandoci
quella che dice Biden è stata “una delle
negoziazioni più difficili che abbia mai
sperimentato”. a , inviato speciale del Corriere
della Sera e profondo conoscitore del Medio Oriente.
Breve biografia
Lorenzo Cremonesi (Milano, 1957), giornalista e
scrittore.
Laurea in Filosofia che gli consente di raccontare i
conflitti con l'occhio attento del cronista e con
l'introspezione e la profondità dell'umanista.
Segue dagli anni settanta le vicende mediorientali.
Dal 1984 collaboratore e corrispondente da
Gerusalemme del Corriere della Sera. Nel 1991 si
occupa dell'Iraq allargando la sua sfera di
competenza alle maggiori vicende dell'area,
dall’Afghanistan, all'India, al Pakistan.
Ha scritto
diversi volumi sulla questione palestinese fra i
quali Le origini del sionismo e la nascita del
kibbutz (1881-1920) e Guerra infinita - Quarant’anni
di conflitti rimossi dal Medio Oriente all’Ucraina,
da cui abbiamo tratto la frase di copertina. |
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INTERVISTA |
A cura di Francesca Chirico |
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È di ieri l’annuncio
dell’accordo fra Israele e Hamas per il cessate il fuoco che
si svilupperà in tre fasi e partirà dal 19 gennaio. Con il
gruppo di lavoro del Laboratorio ADRMedLab, in seno
all’organismo Ismed e all’Università abbiamo immaginato che
nessuno più di lei potesse aiutarci ad inquadrare bene
alcuni aspetti legati al raggiungimento di questo accordo
arrivato dopo più di un anno di guerra. Abbiamo approfondito
spesso con lei dall’uscita del suo libro, Guerra infinita,
anche tutti gli aspetti legati alla questione
israelo-palestinese. I festeggiamenti che all’annuncio del
primo ministro del Qatar Al Thani sono seguiti in tutte le
principali città della Cisgiordania e nella Striscia, ma
anche a Tel Aviv, forse sono riprova della stanchezza di due
popoli, per differenti ragioni.
Allora le chiederei cosa prevede l’accordo, ma soprattutto
siamo rimasti incuriositi dalla “rivendicazione” di Biden e
Trump. Trump sui suoi social ritiene di aver dato lo slancio
decisivo e sin dalla campagna elettorale al raggiungimento
di questo accordo, Biden invece rivendica il lavoro fatto in
questo anno di guerra per giungere alla tregua, definendo
quella in corso “una delle negoziazioni più difficili che
abbia mai sperimentato”.
Chi dei due ha ragione? E perché questa è la negoziazione
più difficile per Biden?
Io ricordo due fatti
che aiutano a dare una risposta secca a questa domanda, che
è un po’ la domanda chiave della situazione odierna in Medio
Oriente. Teoricamente, sempre che l’accordo venga firmato
(noi sappiamo che in questi almeno 13 mesi di guerra da
quando Israele e Hamas si sono parlati dal primo cessate il
fuoco della fine di novembre, l’accordo è saltato, nel senso
che tante volte sembrava vicino e poi non ha funzionato. Ma
questa volta io sono abbastanza positivo, metto le mani sul
fuoco che succederà: per un motivo molto semplice e sono due
i fatti. Chi è che ha annunciato l’accordo addirittura
anticipando di due ore Al Jazeera e i media? Trump.
Il 19 che cos’è? Sono 24 ore prima l’insediamento di Trump
alla Casa Bianca.
Questo per dire che il vero vittorioso, il vero fattore
chiave, critico e di successo che ha permesso di arrivare a
questo accordo, è Trump.
È un accordo politico, che vede Netanyahu “regalare” al
prossimo ed anche ex Presidente degli Stati Uniti il merito,
l’aureola, la corona di questo successo. Per una ragione
molto cinica che va a prescindere dal contenuto dell’accordo
perché, come è stato anche sottolineato dalla stampa
israeliana, non c’è molto di nuovo in questo accordo, se ne
parlava anche a maggio.
E mentre a maggio avremmo risparmiato tante morti, tante
distruzioni che invece sono avvenute (non dimentichiamo che
nelle ultime ore sono morte 82 civili palestinesi, donne e
bambini, per i bombardamenti degli israeliani, e
probabilmente anche qualche ostaggio ebreo in più in mano ad
Hamas sarebbe ancora in vita. Questo per dire che è un piano
molto politico, molto cinico sulla pelle della gente in cui
Netanyahu regala all’amico Trump, che non è semplicemente
l’amico Trump, è l’uomo, il presidente che ha portato
l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme nel
2017/2018 al tempo del suo primo mandato, che ha
riconosciuto la legittimità della sovranità israeliana sulle
alture del Golan, strappate alla Siria nel 1967 e che con i
famosi accordi di Abramo aveva sostanzialmente accettato di
cancellare, di eliminare la questione palestinese trattando
la regolarizzazione e il riconoscimento di Israele in Medio
Oriente da parte del mondo arabo, soprattutto dell’Arabia
Saudita, dei Paesi del Golfo, delle vecchie potenze sunnite.
Quindi, di questo accordo non importa tanto i contenuti,
l’importante è che avviene – e io lo davo per scontato da
mesi - nel momento in cui Trump diviene presidente. È un
accordo diviso in tre fasi: la prima fase durerà tre
settimane, saranno liberati i primi 33 ostaggi di quelli
trattenuti a Gaza su un centinaio, vivi o morti, dove o chi
non sappiamo sono tutti numeri aleatori. Questi 100 ostaggi
probabilmente non sono più in vita, probabilmente neanche
Hamas sa dove siano di preciso, perché Hamas è stata
disgregata, sfilacciata, segmentata dalla guerra. Hamas come
organizzazione funziona all’ombra di se stessa, di quello
che era un anno e mezzo fa.
Non c’è dubbio che Biden ha provato, ha fallito, non ci
sarebbe stato l’accordo se Biden fosse durato altri sei
mesi; quindi, tutto è legato sostanzialmente soltanto a
Trump.
E questo va nella direzione della seconda osservazione che
mi viene da fare, perché Netanyahu oggi è molto più popolare
di prima: ha vinto Hezbollah, ha battuto l’Iran, grazie alle
operazioni che ha condotto contro l’asse degli alleati
dell’Iran ha contribuito ha contribuito alla defenestrazione
di Bashar al Assad il grande alleato degli iraniani e di
Hezbolla in Libano. Netanyahu oggi è molto popolare, non è
più il leader indebolito, marginalizzato dall’attacco del 7
ottobre, accusato e sotto l’ombra di una commissione
d’inchiesta sui fallimenti di politica e vertici per non
avere capito la minaccia di Hamas e che Hamas stesse
preparando quell’operazione. E conta in questa grande
alleanza di poter fare a meno degli estremisti, di Smotrich
e di Ben Gvir, i ministri dell’estrema destra, i partiti
messianico nazionalisti che sono quelli che hanno creato più
problemi e che oggi si oppongono all’accordo; tant’è che
Netanyahu è pronto a sfidare la fiducia e quindi a perdere
il suo governo e andare avanti sapendo che Trump è con lui.
E qu si apre tutta una questione politica a cui Netanyahu
sta lavorando, che non è più Gaza, è la Cisgiordania, perché
tutto il mondo con gli osservatori più attenti, sanno bene
che Netanyahu e certi governi di destra eliminano dal loro
vocabolario e dalla loro agenda politica la questione dei
due Stati. Gaza è vista come una grande prova generale di
quello che avverrà in Cisgiordania. Bisogna “svuotare” la
Cisgiordania e Gaza il più possibile della sua popolazione
palestinese per inficiare, per impedire la nascita di uno
stato palestinese. L’opzione dei due stati non c’è più.
E Netanyahu forte di questo si augura che Trump, come aveva
fatto capire nel primo mandato, oggi sia più sicuro di prima
di questo sostegno. Il che non è affatto detto. Lo era nel
2017/2019, non lo è oggi perché Trump è più forte, perché ha
meno bisogno del voto ebraico, perché è al suo ultimo
mandato quindi non ha molto da perdere e soprattutto i
partners arabi, l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo, sono
cambiati. Se l’Arabia Saudita era pronta a firmare per un
discorso pecuniario di interesse immediato, prima del 7 di
ottobre oggi dice il nostro riconoscimento ci sarà soltanto
quando inizierà un colloquio di pace come ai tempi di Oslo
nei primi anni 90 con la parte palestinese, con la parte
araba per la partizione della terra.
Netanyahu non vuole questo, Trump sarà abbastanza prono ad
ascoltare non tanto le ragioni di Hamas o dei palestinesi,
ma dell’Arabia Saudita dove c’è il petroldollaro, che è un
partner commerciale privilegiato degli Stati Uniti e quindi
tutto questo sostegno che lui, si dava per scontato, era
pronto a garantire agli israeliani sull’annessione della
Cisgiordania cuore pulsante dell’identità israeliana da non
rendere mai più non ci sarà forse tanto e questo è il nodo
del futuro di cui non sappiamo. È la stessa domanda: cosa
farà Trump, davvero lascerà nei guai l’Ucraina? Davvero
taglierà i fondi? Vuole che la Russia vinca?
Dobbiamo vedere cosa Trump farà circa i due Stati e il
discorso dell’organizzazione dei territori occupati dopo la
fine del conflitto, dopo il cessate il fuoco, ma certamente
Netanyahu punta su Trump per la sua carriera politica e
crede che un’America che lo sostiene lo aiuterà anche a
vincere le lezioni e a evitare un processo e a evitare il
carcere, ricordiamoci che oggi Netanyahu rischia il carcere.
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Approfondiamo il
rapporto con Ben Gvir e Smotrich. Ben Gvir ha ribadito che
intende lasciare il governo se l’intesa sarà sottoscritta,
mentre Smotrich era apparso più cauto mentre invece oggi
anche lui si è irrigidito sulle sue posizioni. Ma appare
strano che si ceda proprio adesso; forse il primo mandato di
Trump e quello di cui lei ci parlava, il riconoscimento
della sovranità su Gerusalemme Est e sulle alture del Golan
e anche il rifiuto degli Stati Uniti di definire ‘illegali’
gli insediamenti in Cisgiordania sono state vittorie per
l’estrema destra allora ed ora al governo; quindi, forse la
presenza di Trump renderà più duttile l’estrema destra
israeliana. Quindi le chiedo, questo governo con la figura
di Netanyahu più forte e riabilitata potrà “tenere” e che la
destra israeliana sia più forte?
Dopo la debacle del 7 ottobre tutti davano Netanyahu,
passato dal 60% al 20% in caduta libera. I sondaggi dopo i
successi in Libano, Hezbolla in ginocchio, la caduta di
Bashar al Assad , dopo le due ondate di bombardamenti di
Israele fra la primavera e l’estate sull’Iran hanno
distrutto fabbriche, basi militari, rampe missilistiche sono
stati davvero drammatici e hanno messo davvero in ginocchio
l’Iran. Oggi Netanyahu è molto più popolare.
È un Netanyahu che va a dire ai suoi concittadini elettori
(persino a quelli della sinistra, quella moderata, non la
sinistra che è per il dialogo con i palestinesi per i due
stati a tutti i costi e c’è tutto un centro grigio di
israeliani che soprattutto dal 7 di ottobre, ma anche prima
si è spostato più a destra è diventato molto più nazional
religioso) che Israele vedrà in Trump un alleato.
Certamente, in questo momento, Netanyahu si percepisce come
il grande alleato di Trump, l’uomo che può parlare con
Trump, l’uomo che può ottenere tutto da Trump compresa
l’annessione della Cisgiordania e di Gaza e la fine del
sogno di uno stato palestinese. In questo momento, non so
nel lungo periodo, ma certamente nel breve e medio periodo
Netanyahu vincerà. Israele chiede un uomo forte, Israele è
spaventato, Israele è sgomento, non ha ancora superato il
trauma del 7 di ottobre e Netanyahu è l’uomo che ha dato
delle risposte.
Si era detto all’inizio che più lui prolungava la guerra più
lui sopravviveva: questo di dover sopravvivere perché “se
mollo muoio” non c’è più; oggi Netanyahu è molto più forte e
io credo anche che se si andasse alle lezioni, lui potrebbe
ritornare ad avere quella posizione di forza che gli
garantirebbe di governare senza il ricatto e senza dipendere
dall’estrema destra messianico-religiosa, questo connubio
molto pericoloso fra nazionalismo laico e messianismo
religioso.
Se Netanyahu con il Likud, con il centro destra riesce ad
avere più voti, può essere un uomo che parla di dialogo, che
non è più estremista come i super nazionalisti che danno
fastidio. Non dimentichiamo che Trump con tutto il suo
fervore di destra, America First, non vuole la guerra, non
vuole lo scontro a tutti i costi. Lo scontro “costa”; costa
alle casse americane, costa in termini di vite, costa in
spreco di materiali, lui vuole dare una politica di
“potenza”, ma non di impegno militare tout court. E
soprattutto, non dimentichiamo che l’interesse maggiore di
Trump non è il Medio Oriente e certamente non è Israele,
cosa che invece era per Biden che aveva la memoria del
rapporto con Golda Meir già negli anni 60'/70’: il suo
problema maggiore rimane la Cina.
Tutto quello che distoglie l’America, i suoi militari, i
suoi politici, la sua diplomazia dalla Cina è un problema;
perché distoglie energie, perché è uno spreco. Quindi Trump
cerca a tutti i costi di pacificare, di controllare, di
mettere in un cubo di cristallo il Medio Oriente, per poi
occuparsi del vero problema che a suo dire – giustamente - è
la grande economia cinese, un paese molto più popoloso degli
Stati Uniti, ricco di materie prime, che controlla il
Pacifico e che rappresenta un problema per gli interessi
americani non soltanto nel Pacifico, ma globali. Quindi è lì
a cui Trump guarda tutto il resto è un diversivo che lo
distoglie da questa attenzione molto forte che lui ha nei
confronti della Cina. |
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Nel suo libro Guerra
Infinita lei dice che le maggiori crisi internazionali
vedono un’Europa “imbelle”, “passiva”, addirittura
“impotente” e, in effetti, la parola Europa è l’unica che
lei non ha citato nel corso di questa intervista: abbiamo
citato tutti gli attori internazionali e l’Europa, anche
questa volta, resta fuori dai negoziati, ha un ruolo
assolutamente marginale in questa questione.
Totalmente si! Nel
libro che è uscito ormai due anni fa lo accennavo, ma la
realtà è questa.
La vittoria di Trump ripropone e rafforza una delle
questioni di base degli ultimi anni e cioè l’indebolimento
degli organismi internazionali. Basti pensare il modo in cui
è stata snobbata anche adesso dal Governo Meloni la
decisione dell’Alta Corte di Giustizia dell’Aja nei
confronti di Netanyahu per il genocidio compiuto a Gaza;
basti pensare il modo in cui tranquillamente Israele e il
suo Primo Ministro snobbano, prendono in giro, offendono le
Nazioni Unite, l’UNRWA, l’attività umanitaria, l’attività
delle forze internazionali non rispettando le loro azioni,
tant’è che ora Netanyahu è incriminato. Per l’alta corte è
un criminale da mettere in carcere, processare esattamente
come Putin, eppure tutto questo passa in cavalleria, non ha
nessun peso e l’Europa, che invece crede nella soluzione
pacifica dei conflitti, quindi negli organismi
internazionali, quindi nella coercizione della coalizione di
Stati con delle regole internazionali condivise, il diritto
internazionale per cui tu non puoi conquistare manu militare
un territorio ed è la stessa logica per cui l’Europa
continua ad essere critica sull’invasione dell’Ucraina da
parte di Putin. Netanyahu ha compiuto negli ultimi mesi,
dalla caduta di Bashar al Assad, degli atti gravissimi, ha
violato alcuni dei principi che l’Europa considera sacri,
per esempio ha invaso la fascia demilitarizzata e anche
oltre, monte Hermon nella Siria di Al Julani, del nuovo
esecutivo che ha defenestrato Bashar al Assad l’8 di
dicembre e nessuno ha detto niente. L’Europa non c’è,
l’Europa non riesce ad avere una voce unica, siamo tutti
corsi come dei soldatini verso la Turchia quando è stato
defenestrato Bashar al Assad. Anche se la Turchia è il paese
che attacca i curdi, che viola le regole dei giornalisti
siamo tutti corsi alla corte di Erdogan. E l’Europa oggi, in
ordine sparso, affronta la questione Netanyahu, e Trump
vuole questo. Basti vedere il caso della collega Cecilia
Sala e il rapimento in Iran, il rapporto privilegiato non
con l’Europa, ma con Giorgia Meloni. Giorgia Meloni è il
cavallo di Troia di Trump per entrare in Europa e
scardinare. Non parla con Ursula von Der Leyen, non parla
con la Commissione Europea, parlo con i singoli governi.
Quindi siamo in un momento di indebolimento dei grandi
organismi internazionali preposti a trovare soluzioni
pacifiche alle tensioni e ai conflitti. In questo
indebolimento, ovviamente, rientra l’Europa che non investe
in spese militari, non ha un suo esercito, è litigiosa e
divisa al suo interno; lo è sull’Ucraina, ma lo è forse
ancora di più sul Medio Oriente. |
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Anche questa volta Lorenzo Cremonesi ci ha aiutato
ad approfondire con immediatezza e grande Ci siamo dati
appuntamento per capire come cambierà lo scenario
internazionale nei prossimi mesi. Trump ha scritto sui suoi
social: “Continueremo a promuovere la pace attraverso la
forza in tutta la regione” da qui ai prossimi mesi la
situazione si evolverà, lo scenario in Medio Oriente. |
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